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Lo Sportsman: Erano .... tempi (15.11.05)  
Autore: unagt
Pubblicato: 15/11/2005
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Erano tempi... Inizia con queste parole uno dei capitoli de Il Trottatore, il libro che il mai dimenticato Luigi Gianoli ha dedicato al mondo delle redini lunghe. Erano tempi in cui i guidatori, pur tra odi squisitamente professionali (le liti vertevano sul modo di preparare i puledri, su emulazioni tecniche e agonistiche) formavano una grande famiglia, coi buoni e i meno buoni, coi fortunati e gli sfortunati, con certi caratterini da far paura. Ma era gente molto umana, sotto sotto, che recitava una grande commedia..,”.
Una commedia che nel novembre del 1925, esattamente ottant’anni fa, trovava il suo palcoscenico d’elezione sul quale andare in scena: il nuovo ippodromo di Milano, fatto edificare all’estrema periferia ovest del capoluogo lombardo dalla Sire, che ereditò da Turro tutta una serie di grandi prove che poi valorizzò, grazie anche allo sviluppo di un chilometro della pista, la più veloce e tecnica tra le già tante allora in funzione in Italia.
Erano i tempi di Nello Branchini, Ettore Barbetta, Alessandro Finn, degli Ossani, dei Fabbruccci, di Ugo Bottoni, di Vincenzo Antonellini e Orlando Zamboni, tempi pionieristici ma eroici, quando il trotto attirava la grande borghesia lombarda, che investiva con profusione e larghezza di vedute. Di testimoni di quei tempi, ormai, ne sono rimasti pochi. L’unico che ancora frequenta l’ambiente è Mario Barbetta, poi si deve ricorrere ai ricordi, un po’ più recenti, di William Casolì e Walter Baroncini, protaonisti, assieme a Sergio Brighenti, di epici scontri che hanno caraterizzato decenni di attività dell’ippodromo milanese, «Non ero presente a l’inaugurazione - racconta Mario Barbetta - ero ancora un pò troppo giovane, stavo a Modena con la mamma e le sorelle. Ma mio padre prese parte alla corsa clou del primo pomeriggio di San Siro con due cavalli. Veniva dal trotter di Turro, dove la sua scuderia esiste ancora, anche se in pieno degrado. È la prima a destra, Fu uno dei primi a trasferirsi nel nuovo ippodromo di San Siro. lo arrivai a Milano nel 1929 e nel 1934 presi la licenza e aprii scuderia in Via dei Rospigliosi: i box e le sellerie erano bellissime, ma l’inverno del primo anno fu terribilmente umido nelle costruzioni nuove; i cavalli si ammalarono, fu un disastro. L’ippodromo si raggiungeva, come adesso, con il tram; le ultime case erano in piazzale Lotto, poi la campagna, con dei nebbioni d’inverno da tagliare con il coltello. Ricordo che Otto Dieffenbacher, che era uno dei guidatori più popolari dell’epoca, alle sei di tutte le mattine, con il sole o con la neve, usciva di casa in Piazza Amendola per raggiungere l’ippodromo a piedi. Dopo le corse, ci si cambiava e ci si trovava in Piazza del Duomo per l’aperitivo: era una sorta di rito, al quale prendevano parte guidatori e proprietari, che allora erano dei grandi signori, eleganti, munifici e appassionati».
I primi ricordi di William Casoli su San Siro risalgono alla fine degli Anni Trenta. «Da ragazzino lavoravo a Bologna da mio zio Paolo Jemmi. lo e Sergio Brighenti venivamo spesso a San Siro, come artieri. A diciassette anni e mezzo, illuso come tanti della mia generazione, mi arruolai e finii lungo la Linea Gotica, Dopo 18 settembre scappai in bicicletta. Ricordo di aver dormito, per paura dei tedeschi, nel cimitero di un paesino della Romagna. Dopo diverse altre vicissitudini riuscii a raggiungere San Siro che era sotto il controllo del capitano Schubert, un ufficiale tedesco che era un grande appassionato di trotto. Dopo il 25 aprile, quando Milano passò sotto il controllo delle forze di Liberazione, i partigiani scortarono il capitano Schubert e i suoi uomini fuori dal quartiere per fare in modo che a loro non succedesse nulla. Anni dopo, quando ormai avevo raggiunto una certa notorietà, ritrovai Schubert ad Amburgo: come direttore dell’ippodromo! Fu un incontro commovente, per entrambi. Nei primi anni dopo la guerra vivevo assieme a Sergio Brighenti sotto lo stadio di calcio, in una stanzetta povera povera. Mio padre, che veniva spesso a Milano per commerciare formaggi con la Locatelli e la Galbani, cercava di con- vincermi a trovare una sistemazione un po’ più dignitosa, offrendomi il suo aiuto economico, ma io non accettai: avevamo poco, la vita non era facile, ma eravamo pieni di entusiasmo». Walter Baroncini cominciò a frequentare l’ippodromo San Siro agli inizi degli Anni Cinquanta. «Avevo scuderia all’Arcoveggio, ma Milano era un po’ il centro nevralgico di tutto il nostro trotto. La mattina, prestissimo, lavoravo i cavalli a Bologna, poi prendevo il treno o per Milano e per Roma. Era una vita pesante, ma anche piena di soddisfazioni. Nel 1959 mi sono trasferito con tutta la famiglia definitivamente a Milano. Erano anni effervescenti per il nostro trotto che era in piena evoluzione. In corsa c’era molta rivalità, poi, la sera, ci si ritrovava assieme in trattoria e anche al mattino durante il lavoro ci si consigliava a vicenda su come impostare un cavallo o per come ferrarlo. Anche con la Società di gestione dell’ippodromo il rapporto era più che ottimo: loro avevano rispetto per la nostra professionalità e noi rispettavamo le loro scelte che erano sempre in sintonia con gli interessi dell’ippica milanese». Erano tempi.... Tempi che non ci sono più. Resta l’ippodromo di San Siro, sempre bello, famoso nel mondo e dalla pista velocissima, ma ormai dalle tribune desolatamente deserte, anche nei pomeriggi di grande attrazione. Erano i tempi della BBC (Brighenti-Baroncini-Casoli), ora tramutatasi in una diversa BBC (Barbetta-Baroncini-Casoli, la battuta è di Walter, n.d.r.) dalla connotazione di struggente amarcord. L’ippodromo di Milano, nonostante tutto, resta sempre un luogo-culto per chi ama questo sport: e allora, buon compleanno San Siro!

 
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