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Le Voci del Trotto: Se davvero vogliamo cambiare, basta con i luoghi comuni  
Autore: roberto
Pubblicato: 24/11/2008
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Se davvero vogliamo cambiare, basta con i luoghi comuni

(dedicato al sig. Viani)

 

(g.c.)    Ottenuto l’aiuto dal Governo, sistemata la faccenda montepremi (sperando che nessuno pensi di mettere le mani su quei soldi) è giusto parlare di riordino del settore. Ma bisogna farlo con cognizione di causa, domandandosi quali sono stati gli errori, per non ripeterli, e quali le vere cause del disastri. In modo da non ritrovarci tra qualche anno nella stessa situazione.

            Prima ragione della crisi: il malgoverno dell’UNIRE con gli sprechi, i bilanci aggiustati ad usum delphini (quanti delfini ha allevato l’Ente!), le convenzioni a perdere, l’abbuono dei crediti, le finte collaborazioni, le centurie di funzionari e veterinari per ogni giornata di corse, le assunzioni politiche, la cessione del segnale televisivo delle corse a chi ha interesse a propagandare altre scommesse a scapito dell’ippica, ecc. .

Primo obbiettivo quindi: cancellare gli sprechi.

            Poi pensare al riordino, da fare con criteri logici e non per luoghi comuni.

Per far questo, prima di dire, come ha fatto il signor Viani nella sua intervista in prima pagina sul “Trotto”, che bisogna tagliare le corse del 30%, tout court, occorre che l’affermazione sia figlia di un ragionamento. Che deve partire da una base certa, cioè il numero eccessivo dei cavalli: ma non si può ora, all’improvviso, cancellare tutto: bisogna attuare il cambiamento progressivamente.

Se i cavalli sono tantissimi, è perchè gli allevatori nel tempo hanno ottenuto tanti di quei privilegi da indurli a coprire quante più cavalle possibile. Qualche anno fa, bastava che una cavalla partorisse per passare alla cassa e riscuotere 3 milioni e mezzo. Per l’allevatore, una volta venduto il puledro, c’erano due probabilità: o che corresse, ed allora oltre al prezzo spuntato si vedeva arrivare a casa il 20% delle vincite lorde per tutta la carriera, o nella peggiore delle ipotesi aveva recuperato i soldi della monta e non doveva più mantenere il cavallo. A tutti conveniva “far nascere” così i puledri si sono moltiplicati in maniera esponenziale. Naturalmente, chi compra un puledro da corsa, ha pur diritto a correre se supera i parametri stabiliti.

Per questo non si può all’improvviso decidere di ridurre del 30% le corse. E a chi ha un puledro di due o tre anni “qualificato” che cosa raccontiamo? Caro scemo, hai comprato un figlio di Varenne o di Toss Out, l’hai pagato per quello che vale, hai superato la qualifica, ma ora non ci sono corse per te? Ci sembra un paradosso...

C’è poi un secondo punto da chiarire: ci si riempie la bocca con la parola “qualità”: francamente siamo frastornati, perchè ci sembra di non capire più il significato di questa parola. Un puledro che vince in 1.16 un matinée è un brocco solo perchè ha corso per un miserabile premio? Oppure sono brocchi i tanti puledri che corrono al di sotto dell’1.17 nelle cosiddette corse di minima? E sono da macello (guardate i risultati) centinaia di cavalli, figli di grandi stalloni, che vanno da 1.14/1.15? Che facciamo? All’improvviso li mandiamo al macello? Se così fosse, alle aste si avrebbe il dovere di esporre un cartello con la scritta “Comprate la qualità. Qui si vendono figli di Lemon Dra, Supergill, Varenne, Viking Kronos, ma sappiate che una volta superata la qualifica potete direttamente ammazzarli, perchè per loro non ci sono più corse”.

Allora facciamo davvero un discorso serio, che valga per tutti, cavalli, ippodromi, allevatori, allenatori, guidatori.

Gli allevatori, primo anello della filiera, si diano una regola da subito: impongano ad ogni stallone un numero massimo di monte, in maniera che ogni anno diminuisca progressivamente il numero di nascite, fino ad arrivare all’optimum stabilito. Per questa ragione non si “regali” la qualifica di allevatore a chi non ha le strutture idonee, in modo da garantire anche a chi compra che a monte della sua spesa vi siano tutte le garanzie del caso. Si abbia il coraggio di ridurre i tempi di qualifica, per una ulteriore selezione. Soltanto così si potrà parlare, di anno in anno, ad una diminuzione delle corse, perchè sarà la logica risultante di un programma (meno cavalli = meno corse).

Diminuire gli ippodromi, o meglio qualificarli di serie A/B/C/D? D’accordo, ma senza lasciare all’arbitrio l’appartenenza ad una delle categorie. Fatti salvi, per ragioni storiche, non più di quattro (Roma, Milano, Napoli e Bologna), gli altri si guadagnino la categoria in base a parametri fissi: volume di gioco per corsa, qualità dei servizi, pubblico. Come per i cavalli, ognuno dovrà contare sulle proprie forze e sulla propria capacità imprenditoriale. I soldi impegnati debbono fruttare, non si possono buttare a favore di chi rappresenta una passività ogni volta che corre.

Come per chi compra un puledro vale la regola che avrà “diritto” a correre solo se avrà superato i parametri previsti per la qualifica, e che potrà concorrere a premi sempre maggiori se saprà migliorarsi, anche per le altre componenti ippiche dovrà valere la regola del merito. Ad esempio per guidatori e cavalli le vittorie, i piazzamenti, le somme vinte, i record dovranno essere gli unici titoli per poter gareggiare negli ippodromi di maggior importanza.

Competitività e nessun aiuto  a chi rappresenta un peso morto, per una selezione naturale.

Cambiare quindi è giusto, ma non si può fare di colpo. nè senza un programma che preveda dei principi, un percorso progressivo ed un traguardo finale.

Dire che bisogna ridurre le corse, puntare alla qualità senza un programma è solo un facile esercizio verbale... Siamo serii!

 
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