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Lo Sportsman: Quello che sparava alla luna (1.9.08)  
Autore: roberto
Pubblicato: 2/9/2008
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Quello che sparava alla luna

MARIO BERARDELLI ROMA
Fabio Carnevali è uno che spara alla Luna. Dicono i suoi detrattori. Insomma sarebbe un Don Chisciotte, che pratica lo sport di andare lancia in resta contro i mulini a vento, e cosi è sistemato. Fabio Carnevali ama il suo mondo, quello in cui è cresciuto, con lui tutta la sua famiglia, il mondo che deve difendere perché rappresenta il suo Dna. A questo amore ha dedicato fino ad ora la sua esistenza. Si è speso, sovente incompreso, ci ha messo sempre la faccia, non ama le mezze misure, forse è poco malleabile - fa più fino dire diplomatico - non è obbligatorio essere sempre del suo parere, impossibile non riconoscere il suo rigore morale e soprattutto che molti dei pericoli che adesso per il nostro settore sono diventati reali incubi lui li aveva adombrati da tempo, inascoltato o quasi.
Conosce la situazione, non ha perso la voglia di provarci anche se è messa a dura prova. Chissà se ha ancora una speranza, certamente ha una indicazione da dare anche perché è sempre il presidente di Assogaloppo, una associazione il cui ruolo è sovente oggetto di controverse interpretazioni... «Lo sarò - risponde Carnevali - fino al congresso che terremo a fine settembre. È vero, in molti , forse anche per comodità, hanno equivocato sul ruolo di Assogaloppo e ci hanno visto come una sorta di antitesi a chi già operava nel settore mentre invece il nostro proposito era quello di creare un organismo che fosse sintesi, assolutamente non alternativa alle categorie che operano nel turf ovvero i proprietari, gli allevatori e gli allenatori i veri operatori che noi dal 2005 abbiamo provato a riunire partendo da una legittimazione di base, popolare. Forse oggi più adatta ai tempi potrebbe essere Confgaloppo, l’organismo che dovrebbe rappresentare, attraverso i membri indicati dalle varie associazioni di categoria, il nostro settore operativo. Una struttura snella e agile, una sigla unica che esprima con capacità l’anima del settore. Non possiamo presentarci sempre in tantissimi nelle sedi competenti, ne viene meno la credibilità e nella confusione chi vuole frenarci ha buon gioco».
Comincia cosi la chiacchierata di fine agosto. Eh si, tempi duri, da affrontare uniti e questa della sigla comune è una idea che rafforza, che va sviluppata non respinta. Certo prima serve tuttavia che le idee si chiariscano, che il settore, trotto e galoppo, si dia una strategia, ora o mai più, che scelga la sua dimensione, la sua veste, la sua anima. «Vede
- prosegue Carnevali - siamo ad una sorta di bivio per il nostro mondo, un bivio magari sull’orlo del precipizio ma una strada da scegliere ci potrebbe anche essere e potrebbe portare verso una zona più tranquilla, magari anche vivibile. Questo in un momento cosi nero è un segnale positivo, volenti o nolenti dobbiamo fare una scelta, se imbrocchiamo la strada giusta il nostro settore potrebbe ripartire felicemente verso un periodo di stabile prosperità...»
Ciclicamente se andiamo a rivedere la nostra storia la visione di Carnevali trova conforto, l’ippica ha bisogno di periodici scossoni per trovare la sua nuova dimensione ma quale. «Intanto dobbiamo stare attenti a non confondere gli effetti, cioè la situazione attuale costituita da un settore che distribuisce in maniera esasperata ed appiattita dopo aver aumentato in maniera pazzesca il numero dei suoi eventi, con le cause che sono da ricercare in scelte politiche di settore errate, autolesionistiche. Penso ad esempio alla soppressione degli enti tecnici come ad una conseguenza di queste scelte politiche sbagliate. Gli enti tecnici erano un filtro vitale per la esistenza corretta di un settore come il nostro cosi speciale e caratteristico, diciamo pure tecnico. Altra conseguenza, tutti anelli di una stessa catena di sbagli, lo snaturamento della selezione e del suo ciclo, non dico la scomparsa, dico snaturamento , essenza che si modifica che non possiede più lo stesso ruolo fondamentale. Ancora, un tipo di rapporto tra Unire e Società che definirei deviante e che ha portato per forza di cose le Società a desiderare il moltiplicarsi delle giornate, insomma la somma degli eventi. Sarebbe stato più sano un rapporto basato sulla qualità del servizio prestato, sulla sua sintonia con un progetto di vasto respiro e di indubbia valenza tecnica che tra l’altro avrebbe di fatto permesso una incontestabile classificazione degli ippodromi che forse era proprio quello che non si voleva, Insomma non ci siamo dati regole certe per ogni aspetto, ogni ambito del nostro settore e da qui gli effetti che non dobbiamo confondere tuttavia con le cause».
D’accordo, cause ed effetti che ci hanno portati al famoso bivio che vale la fine o la salvezza, dove portano e quali sono le due strade ? «Abbiamo due possibilità. La prima è di continuare nella distribuzione a pioggia delle risorse su tanti, troppi eventi, corse che possono garantire una mediocre soprawivenza a quasi tutti ma che nel tempo cancelleranno la autentica identità del settore. Certo in tempi brevi sembrerebbe in apparenza la soluzione più vitale. La seconda possibilità io la giudico una grande opportunità, ora come ora avrebbe un costo alto per tutti o quasi tutti, lo so. Eppure in futuro potrebbe permetterci un periodo non breve di vita serena e di soddisfazioni perché in un campo , in un ambiente si opera anche se hai voglia, entusiasmo , soddisfazione. Cosa dovremmo fare? Avere il coraggio di darci una giusta dimensione, di capire che dobbiamo indirizzare le risorse verso la produzione di uno spettacolo il più possibile appetibile, interessante, proponibile e dunque selettivo. Conseguenza di una tale scelta , di questa impostazione può essere anche un ridimensionamento del numero delle giornate di corse che si disputano. Dico conseguenza e non fine. Un mezzo direi, il fine è più alto, nobile e per me resta culturale nella sua scelta e dimensione. Dobbiamo lavorare per riportare la gente ad amare il nostro sport, il nostro mondo ed è chiaro che per farci amare dobbiamo essere nell’aspetto e nella sostanza gradevoli, interessanti, diciamo pure belli».
Forse quando lei parla di errori le radici sono
lontane? «Non lontanissime, fu un errore non pensare a darci un progetto di largo respiro nel momento in cui vi era abbondanza di risorse, non abbiamo saputo investire il nostro capitale nel modo più saggio: Io abbiamo come dilapidato. Per rinascere dobbiamo anche ricreare il senso di appartenenza, dobbiamo farci conoscere non come siamo ora ma come vorremmo essere. Sogno sempre un’ippica che sia selezione, allevamento al massimo livello e momento di cultura, ambienti accoglienti, giusta informazione, un settore nel quale possiamo ancora fare molto e penso alla televisione e al suo ruolo».
Non sarà che stiamo tutti e due cominciando dawero a sparare alla luna, ci si può credere dawero, diciamo al fatto che ce la potremmo fare? «lo ci credo ma con i piedi per terra, sa con gli anni... Tuttavia penso che solo se tutti capiranno dawero la situazione potremo vincere ma ripeto, con il necessario concorso di tutti. Non credo sarà facile, dipenderà anche dalle persone, vede tra le cause di prima metterei anche il fatto che non tutte le persone che si sono occupate del nostro mondo sono state quelle giuste. Ho un invito, sempre lo stesso, dobbiamo essere uniti per rappresentare una sola anima , quella vera della nostra ippica».
Sabato, a mezzogiorno, Milano sembrava sotto coprifuoco: il deserto, locali e negozi chiusi al 30 agosto, tutti al mare Chissà cosa ne pensa I ministro Brunetta... Logico, dunque che San Siro abbia riaperto con un parterre diradato. Però il “pesage”, vivace e colmo, si accendeva del rosa e fucsia smagliante di Isabella Bezzera, e del senso di affetto degli appassionati al loro ippodromo: senso d’Alta Fedeltà, vissuto in tribuna e in pista, dove la 2 anni, pure vestita di rosa (e verde), ha dato risposta a coloro che ne avevano individuato i ‘modi’ della primattrice in occasione del prudente ma significativo debutto di giugno alle spalle di Ars Nova. Fra questi, Bruno Grizzetti che, delineando la difficoltà del compito cui era chiamata la listed-winner Diva Cattiva, aveva predetto: «Sarà dura dare tre chili ad Alta Fedeltà che per me è la miglior 2 anni vista a Milano».
Il betting ha proposto la Diva alla “pari” con Ars Nova e Alta Fedeltà a 3½: ma la pista ha manifestato ambizioni e statura della bella figlia di lnfìel, in uno schema “alla De- muro”: attesa, slalom di Mirco in retta all’interno della favorita, scatto e... tutte ferme dietro la Fedeltà dell’Incolinx. Diva Cattiva ha controllato la fattiva Passavanti e la progressiva Ars Nova. Le altre, da Garnera (da rivedere: tirava molto) in poi, sono rimaste in disparte.
«Ci ha fatto penare a portarla fino in corsa - ha ricordato Caruso - ma ci ripaga. Ha mezzi, anche se mi resta il rimpianto per la scomparsa d’una sorellastra, da Pivotal, di nome Acqua Cheta, che si infortunò irrimediabilmente all’esordio. Questa è buona, quella volava». Grizzetti ha confermato dopo quanto aveva detto prima: «La Diva ha fatto il suo dovere, ma lo sapevo:
forse non avremmo battuto Alta Fedeltà a pari peso, figurarsi tre chili sopra». Per i Camici, un altro Pass... avanti della loro saura, per i Botti, che avevano annunciato Ars Nova non al top, un utile test della baia. Tutte apprezzate ma, da oggi, la Fedeltà di Diego Romeo appare più Alta rispetto alla media. MVIZ

 
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