TASSE E IMMOBILISMO
Scommessa ippica piaga sociale?
GIUSEPPE TATARELLA Ecco: ce ne siamo dette quattro, così la tesi della rissosità balcanica, qualora ce ne fosse mai stato bisogno, è confermata. Intanto il nemico pubblico numero uno del settore, numero uno per danno emergente e lucro cessante, cioè la tassazione iniqua e spropositata sulle scommesse ippiche continua. Nessuno del settore che levi gli scudi, che faccia una qualsiasi azione per renderle più eque, almeno al pari delle neonate scommesse sportive. Il nuovo, si sa, è più accattivante del dejà vù, soprattutto se quest’ultimo è di difficile approccio e richiede attenzione e studio, come già più volte detto. Nulla: intanto si litiga. Perché? Non è forse evidente che una tassazione del genere è fatta apposta per disincentivare? Le tasse è noto che servono ad almeno due scopi: produrre danaro per le casse dello Stato e regolamentare i consumi. Quando sono smisurate, come nel caso delle scommesse ippiche è evidente che si raggiungono entrambi gli obiettivi, almeno fino a quando le iniquità non abbassano i consumi fino al punto da essere nocive anche per gli introiti. Viene spontaneo il confronto con la tassazione sul consumo di alcool in Svezia: altissima, per risolvere una piaga sociale e produrre il danaro necessario a curarne gli effetti. Ma allora la scommessa ippica è una piaga sociale? Se è così — mentre non lo è per altri tipi di scommessa, evidentemente — allora perché non risolvere il problema una volta per tutte? Un bel taglio, definitivo, risolutore, e tanta pace per tutti.
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