CORNER. OVVERO COME VOLEVASI (PURTROPPO) DIMOSTRARE (Gianni Castelluccio) “Del senno di poi son piene le fosse” Così recita il proverbio, e chi critica a posteriori ha sempre torto. Non è certo il nostro caso. Quando Melzi d’D’Eril ha creduto di dare la ricetta per la ripresa dell’ippica affidandola ai corner, abbiamo sùbito, in tutte le sedi possibili, cercato di far ragionare sul fatto che non è aumentando i punti vendita che possono aumentare gli incassi: sarebbe troppo facile…Purtroppo debbono aumentare gli scommettitori, deve offrirsi una qualità più appetibile, bisogna pubblicizzare l’ippica presso chi non la conosce. Invece… Per aumentare il numero degli scommettitori occorre andare a cercarli tra quelli che non conoscono l’ippica, né le possibilità di vincite immediate che offre. Cercarli significa impostare una pubblicità che arrivi oltre i nostri giornali (uno!) ed il canale specializzato dell’UNIRE. Occorre attivare la promozione non cedendo i nostri spazi televisivi a chi ci fa la concorrenza, ma scambiandoci eventualmente gli spazi con il calcio, la pallavolo e gli altri giochi, che abbiamo ospitato gratuitamente nei nostri punti vendita. La qualità, a cominciare dalle tris, è scaduta di molto a favore del numero. Due tris al giorno non possono umanamente essere qualitative, anche perché l’ufficio preposto non ha il tempo materiale per scelte oculate, e deve arrangiarsi inserendo una quantità di cavalli che non fanno spettacolo, né gioco, ma soltanto numero. Ed allora accade che la tris è diventata piuttosto un contentino per gli allenatori e guidatori, che con i rimborsi rimediano in parte i debiti accumulati a causa di un montepremi vergognoso. L’iniziale fallimento dei corner, oltre che previsto per quanto abbiamo detto e sostenuto, si è ulteriormente aggravato dalla mancanza di informazione presso l’ipotetico pubblico, dagli intoppi denunciati da molti gestori per l’approssimazione con la quale si è voluto iniziare. Tutto ciò porta ad una considerazione: diamoci una regolata, finiamola di gestire l’UNIRE affidandoci alle estemporanee panacee che di volta in volta vengono presentate come rimedi definitivi. Prendiamo dieci persone, prescindendo dalle cariche ufficiali, che siano notoriamente “pratici” di ippica, che si siano da lungo tempo interessati dei problemi ippici senza avere però situazioni personali da difendere, e rifondiamo l’organizzazione del nostro sport: tenendo conto solo dell’interesse generale e dei principi che sono alla base dello Statuto dell’UNIRE. Che è poi uno statuto che sostanzialmente si può riassumere in una sola frase: “Incremento Razze Equine”. E che tenga conto che le corse sono la misura del progresso (incremento della qualità) e sono il mezzo per procurarsi il denaro occorrente per portare avanti il programma. Insomma se l’UNIRE continuerà a funzione come ora, se non si cambierà in senso funzionale l’organizzazione, restano poche speranze di recupero. Siamo ridotti come pesci fuor d’acqua, in procinto di morire: non sarà qualche colpo di coda a sospingerci verso il mare e la salvezza. Serve una mano che ci riporti al nostro elemento naturale, non una serie di mani, come le attuali, che continuano a spremerci fino all’esaurimento totale. |