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Le Voci del Trotto: Una voce fuori dal coro  
Autore: roberto
Pubblicato: 16/5/2008
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UNA VOCE FUORI DAL CORO

         Una serie di bancarelle fanno bella mostra in un mercatino frequentato da dieci persone che ogni mattina spendono i loro soldi per le compere. Sono sempre gli stessi dieci, con le stesse possibilità economiche. Un bel giorno le bancarelle diventano venti, ma i compratori sono sempre gli stessi. Si può pensare che con l’aumento delle bancarelle, aumenterà il volume di affari?

         Questa la premessa.

         Il monitoraggio delle scommesse tiene in ansia tutto il settore. Dall’andamento delle stesse dipende “la vita” dell’ippica, e per questo ci sono molte preoccupazioni. A queste, purtroppo, e qui esprimo un parere del tutto personale, si aggiunge la sensazione che la corsa ai ripari stia seguendo una via sbagliata. Pensare che l’introduzione di nuovi punti vendita, i famosi corner, possa dare ossigeno al settore, mi sembra utopistica. E mi spiego, rifacendomi alla premessa. L’ippica si regge, purtroppo, soltanto su un nucleo ormai storico di giocatori, proprio perché si tratta di scommessa altamente specialistica. Questo parco giocatori ha una possibilità di gioco, oltre la quale non può andare. E’ come se ad una famiglia che ha solo la possibilità di pranzare con un primo, un secondo e la frutta si offrisse di acquistare il dolce. Per quanto l’offerta possa essere  appetibile, purtroppo non si potrà permettere questo lusso. Se proprio la voglia fosse tanta, al massimo potrebbe comprare il dolce, rinunziando però ad uno dei piatti abituali. Alla fine il totale sarà sempre lo stesso.

         Detto questo, e speriamo di aver espresso con chiarezza il concetto,  la via da battere deve essere quella di acquisire nuovi scommettitori: e lo si può fare soltanto con una pubblicità mirata a convincere della facilità e della convenienza del gioco sui cavalli; dell’immediatezza della vincita, della possibilità di rifarsi subito. In definitiva bisogna aggiungere ai giocatori “tecnici” quelli che scommettono sui numeri, sulle probabilità di vincita (vedi lotto) convincendoli che una Trio o una Tris è più facile di un terno e può portare a vincite interessanti.

         Oltre a ciò bisogna però rendere la Tris (ed il quarté ed il quinté) un faro per l’ippica, com’era all’inizio. Due al giorno diventano giocate di routine, senza possibilità di pubblicizzazione, e sarà molto difficile, se non impossibile, renderle tutte tecnicamente valide ed appetibili per il gioco. Bisogna allora, se si vuole salvare l’ippica, avere il coraggio di cambiare totalmente sistema, e farlo in modo da mirare principalmente alla resa. Limitarle, quindi, qualificarle e pubblicizzarle.

         La via per la ripresa può passare soltanto attraverso l’acquisizione di nuovi giocatori, non di nuovi giochi. E per far questo bisogna portare la faccia pulita dell’ippica sui giornali (non su quelli tecnici, destinati a chi già è nel settore), in televisione, inserendola in qualche modo nelle trasmissioni più popolari, farla entrare nei quiz – show più seguiti: incentivando gli ippodromi a promuovere manifestazioni che portino pubblico indipendentemente dai cavalli, e facendo trovare poi questi spettatori a contatto delle corse alle quali certo si appassioneranno.

         Incentivare non significa però regalare soldi indiscriminatamente, come desidererebbe qualche noto gestore di ippodromi metropolitani. Ma darli a chi dimostrerà di sapere come attirare il pubblico, a chi saprà attraverso i programmi e le scelte far crescere le scommesse. Purtroppo, per il bene dell’ippica, chi non produce deve scomparire. L’ambiente non può permettersi il lusso di mantenere chi vuole vivere non del proprio lavoro, ma solo sfruttare quello che gli altri producono. Sia che si tratti di operatori, di ippodromi o di centri di raccolta delle scommesse.

         Chiudo con una nota. Gli unici soldi li producono le corse: le corse le fanno i cavalli. E’ giusto che la maggior percentuale torni ai cavalli attraverso il montepremi.

 
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