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Totoguida Scommesse: CTD: normativa disapplicata (19.2.08)  
Autore: unagt
Pubblicato: 21/2/2008
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La Cassazione ribadlsce: la legge 401 del 1989 non si applica a centri collegati a book esclusi dalle gare
CTD: normativa disapplicata

In discussione l’attività di un centro chiuso a Enna nel marzo 2007 e poi dissequestrato

Ancora una decisione clamorosa di un supremo Tribunale italiano in merito all’attività di raccolta scommesse dei centri trasmissione dati (CTD) collegati al bookmaker britannico Stanley International: malgrado il riordino dettato dal decreto “Bersani”, la legge penale italiana in materia di scommesse va disapplicata perché in contrasto con la normativa comunitaria.
Il principio è stato confermato dalla Terza Sezione penale della Corte di Cassazione con una sentenza del 28 novembre 2007 le cui motivazioni sono state depositate nei giorni scorsi: la suprema Corte ha respinto il ricorso della Procura di Enna contro l’ordinanza del Tribunale del riesame che il 31 marzo 2007- stabilendo la non conformità del regime concessorio italiano alla normativa comunitaria - aveva ordinato il dissequestro di un’agenzia di scommesse inglese, priva sia della concessione Aams che della licenza di pubblica sicurezza.
Secondo i giudici, «non possono applicarsi sanzioni o misure cautelari reali a persone che abbiano svolto senza autorizzazione attività di raccolta di scommesse se risulti provato che è stata svolta per conto di società che non hanno, o non avrebbero potuto, partecipare alla gara per l’aggiudicazione delle concessioni e che nello stato membro in cui sono stabilite esercitano legittimamente tale attività imprenditoriale per aver ottenuto le necessarie autorizzazioni. Qualora non sia applicabile al caso concreto il regime concessorio o autorizzatorio, non è ravvisabile il reato ipotizzato».
L'esclusione di Stanley dalle gare per le concessioni organizzate dal Coni nel 1999 - per una norma sulle società quotate in Borsa poi modificata nel 2003 su richiesta della Commissione Europea - continua dunque a produrre effetti negativi sul sistema delle scommesse “made in Italy”, malgrado la liberalizzazione messa in campo dal Governo Prodi con il decreto Bersani. In questo caso, il titolare del centro (posto sotto sequestro il 7 marzo 2007) è stato indagato del reato previsto dalla legge che proibisce le scommesse non autorizzate per aver svolto, in assenza di concessione, attività organizzata al fine di accettare scommesse sportive per conto dell’allibratore britannico.
La Terza sezione Penale della Corte di Cassazione osserva che «le conclusioni dell'ordinanza del Tribunale del Riesame sono conformi ad altre sentenze emesse da questa Corte a seguito della decisione della Corte di Giustizia sul caso Placanica. La non conformità del regime concessorio italiano alla normativa comunitaria deriva dalla previsione di un numero di concessioni limitato, dalla previsione di limiti ingiustificati alla partecipazione alla gara per l’aggiudicazione delle concessioni, che ha comportato l’esclusione delle società quotate in Borsa con azioni anonime dal bando di gara del 1999; dal mantenimento del regime di monopolio in favore dei concessionari pubblici e dalla proroga delle concessioni già rilasciate con la conseguenza di prolungare nel tempo la situazione di contrasto con l’ordinamento comunitario».
Nel frattempo, il mercato italiano è cambiato profondamente, attraverso i rinnovi fino al 2011 delle prime concessioni sportive e ippiche e il bando di gara “Bersani”, in virtù del quale sono stati individuati nuovi concessionari, che saranno operativi fino al 2016. «L’attuale regime della gestione delle scommesse - sottolinea però la Cassazione - penalizzando ingiustificatamente gli allibraton esteri in regola con la disciplina concessoria e autorizzatoria del proprio paese, non può essere applicato dal giudice italiano con le inevitabili conseguenze sul piano sanzionatorio limitatamente alla previsione di limiti alla libertà di stabilimento e di prestazione di servizi che la sentenza Placanica ha ritenuto ingiustificati».
Ne consegue, quindi, che «non possono applicarsi sanzioni o misure cautelari reali a persone che abbiano svolto senza autorizzazione attività di raccolta di scommesse se risulti provato che è stata svolta per conto di società che non hanno, o non avrebbero potuto, partecipare alla gara per l'aggiudicazione delle concessioni e che nello stato membro in cui sono stabilite esercitano legittimamente tale attività imprenditoriale per aver ottenuto le necessarie autorizzazioni. Qualora non sia applicabile al caso concreto il regime concessorio o autorizzatorio non è ravvisabile il reato ipotizzato».
Il business di Stanley International in Italia - caratterizzato da un lungo contenzioso con le autorità, sfociato in due sentenze della Corte di Giustizia Europea - è attualmente imperniato su circa 400 punti di raccolta, gestiti da operatori indipendenti, che mettono in contatto il cliente con il server della società a Liverpool.
«La Corte di Cassazione, fluitamiente alta Procura Generale - commenta l’avvocato dell’indagato, Daniela Agnello - ha riconfemiato la disapplicazione della nonna tiva italiana e la liceità e regolarità dei Centri Stanley. Una pronuncia di legittimità che esamina fatti recenti e che ribadisce come il sistema concessorio italiano sia discriminatorio nei confronti di Stanley, rigettando i ricorsi dei Pubblici Ministeri. La Corte si è allineata, quindi, all’interpretazione obbligatoria e vincolante fornita dalla Corte di Giustizia e, con consolidata e uniforme giurisprudenza, ha continuato ad imporre la disapplicazione della sanzione penale nei confronti dell’operatore comunitario Stanley».

 
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