L’INTERVENTO - L’approccio al settore dei giochi mostra le prime crepe dopo la grande rivoluzione Mancanza di rappresentatività: la vera piaga della nuova rete di Mauro Grimaldi Ho l’impressione che, anche questa volta, si vada a votare con la netta percezione di non cambiare le cose. Dalle prime schermaglie elettorali i paladini del libero pensiero ritornano, stavolta a ruoli invertiti, su argomenti di cui si celebra in questi giorni il ventennale. Veltroni, in apertura di campagna elettorale, da Spello (già il nome del paese non lascia presagire nulla di buono...) ha cercato di anticipare il Cavaliere, proponendo l’ennesimo gioco di prestigio: diminuire le tasse ed aumentare gli stipendi. Stessa minestra, neanche riscaldata. Trionfa la filosofia dell”essere” di Parmenide in contrapposizione a quella del “divenire” di Eraclito, il “panta rei”, tutto scorre. Perché dico questo. Ho la netta sensazione che se oltre alle politiche non cambiano anche le persone, il futuro per il settore dei giochi rischia di appiattirsi sul fondo di un barile del quale è impossibile raschiare altro fondo. Stavolta il bicchiere mi sembra mezzo vuoto. Il nostro comparto, fino ad oggi, ha sempre subito, sulla propria pelle, le decisioni del politico di turno. Non è stato mai coinvolto in prima persona. In altri settori dell’economia, la norma che incide in modo diretto sul comparto interessato è soggetta ad una contrattazione preventiva. Le grandi corporazioni, siano esse espressione di rappresentanze sindacali o confindustriali, hanno un notevole potere contrattuale, a volte condizionante rispetto alle decisioni del Governo. Gli esempi sono numerosi e hanno segnato la politica italiana del dopoguerra. Questo tipo di impostazione, volenti o no, è diventato uno dei principali strumenti di equilibrio del nostro sistema. Poi chiamatelo come volete: compromesso, concertazione, accordo politico. La sostanza non cambia. Una moderna democrazia basa la propria esistenza sul dialogo. Nessuna scelta può avere in sé carattere di unilateralità senza il rischio di generare uno scontro sociale. Più il settore è delicato, più il rischio aumenta. Non so se il comparto dei giochi racchiuda in se questi elementi, ma è indubbio che muove importanti interessi economici e, ultimamente, anche legati al mondo dell’occupazione. Se fino a qualche anno fa la rete dei giochi era incentrata, principalmente, su ricevitorie a conduzione familiare, oggi la stessa rete è notevolmente evoluta e ad essa fanno riferimento una serie innumerevole di figure professionali. Molti sono i giovani che si avvicinano a queste nuove professioni, sia come lavoratori dipendenti che come imprenditori. E’ una nicchia importante, soprattutto se rapportata agli oltre 40 miliardi di euro che attengono al mondo dei giochi nel loro complesso. E’ comprensibile, quindi, come le future politiche debbano tenere conto anche di questo. Ma il problema è e resta la mancanza di rappresentatività. Di un organismo forte e credibile - basta guardare fuori dai nostri confini - in grado di confrontarsi con le altre parti sociali ed istituzionali. Le attuali rappresentanze somigliano più a delle “corporazioni chiuse” che spesso, alle esigenze del sistema, contrappongono quelle di parte. Colpa anche delle situazioni monopolistiche che ne condizionano le scelte per un istintivo principio di autotutela. Questa logica, a volte perversa, ha consentito, fino ad oggi, il controllo del mercato dalla parte politica, una sorta di “divide et impera”. Meglio affrontare i contendenti ad uno ad uno - Orazi e Curiazi docet - piuttosto che tutti insieme. E’ la strategia dell’ovvietà che basa la propria forza non sulla razionalità ma sull’ipocrisia che, inevitabilmente, prevale in ognuno di noi quando si tratta di difendere i propri interessi. Questo tipo di approccio, però, inizia a mostrare qualche crepa. Sono cresciuti gli operatori. Le dialettiche di mercato stanno cambiando, così come le urgenze di confronto. Le logiche di “cassa” che hanno determinato la nascita della nuova rete rischiano adesso di rivolgersi contro lo stesso sistema che ha generato questo modello, se non altro per la necessità di sopravvivere in un contesto estremamente inflazionato, dove, a differenza di come si credeva, non c’è spazio per tutti.
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