PARTENDO DA INFINITIF ALLARGHIAMO IL DISCORSO Ormai quando si legge o si sente parlare del caso Infinitif non si possono reprimere conati di vomito. Una vicenda lineare, nella quale i documenti, con le loro contraddizioni e con le date, parlano da soli “condicendo”, se vogliamo girarla a barzelletta, che il cavallo non è a posto con i regolamenti, e che per questo non avrebbe potuto partecipare alle corse in Italia. A prescindere dal fatto che sia un campione al quale va fatto tanto di cappello. Se al posto di Infinitif vi fosse stato un qualunque altro cavallo, se non si fosse trattato di una corsa di tale prestigio, senza tanti preamboli né polemiche, l’UNIRE l’avrebbe certamente squalificato e nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Quindi, se anche noi ne accenniamo (rischiando di far strabuzzare gli occhi ai nostri lettori) è solo per aprire un discorso che non riguarda né il cavallo, ne i sui importantissimi allevatori e proprietari. UNIRE: ormai, e senza forse, oggi il massimo Ente è diventato il vero tumore dell’ippica, laddove dovrebbe rappresentare il punto di riferimento per la difesa del cavallo da corsa italiano, la garanzia per le regole studiate per il suo miglioramento, la sua competitività nei confronti degli esteri e quanto altro. Per i suoi compiti istituzionali, nelle sue stanze dovrebbero alloggiare persone con le quali sia possibile un discorso tecnico, persone che, come ai tempi belli, si incontravano anche negli ippodromi a seguire le gesta dei nostri campioni. Siete mai stati in via Cristoforo Colombo? Un ministero dove si incontrano distintissimi, asettici personaggi ai quali ogni domanda sui cavalli suona come un argomento sconosciuto, dove si viene inviati da Ponzio a Pilato perché ogni ufficio si dichiara incompetente sull’argomento, dove quanto interessa ai proprietari, allevatori, guidatori ed allenatori viene scaricato su quelle due o tre persone al massimo che sono al posto giusto. Una torre di Babele dal difficile accesso e dove è pressoché impossibile il contatto telefonico, perché i telefoni o risultano occupati o, se liberi, suonano solo per la piacevolezza di produrre una nota musicale. In un panorama simile non bisogna meravigliarsi che l’ippica vada a rotoli. Fa rabbia che si parli di crisi finanziaria, di calo del gioco, quando i numeri sono sotto gli occhi di tutti, e si vede che in relazione al passato non è che gli scommettitori ci abbiano traditi. Si stava meglio quando il volume di gioco era minore: assurdo. Dove finiscono i soldi delle scommesse? Non è incomprensibile che chi produce il denaro debba usufruire dei “resti” dopo che la fetta più grossa se la dividono gli intermediari, che si sono arricchiti al punto di dettare legge dall’alto delle posizioni finanziarie conquistate? Noi però abbiamo la testa dura, crediamo che l’ippica possa ancora salvarsi, che si possa tornare ad un livello ancora dignitoso. Ma per far questo, bisogna, dopo le esperienze negative di trattative pacifiche, trovare il coraggio di tagliare i viveri a chi specula sulle nostre spalle, a chi sfrutta il lavoro, il sudore ed il sangue di chi si alza all’alba e finisce di sgobbare al tramonto. Come? Fermandosi, fermando le corse ed intavolando serie trattative a bocce ferme. Ormai il mondo dei cavalli, tranne rarissime eccezioni è allo stremo: non può andare peggio, ed allora facciamo avvertire i morsi della fame anche alle altre componenti, a partire dalle Agenzie a finire agli Ippodromi e lasciamo l’UNIRE senza risorse per un po’ di tempo. Forse potremmo dettare le regole giuste… |