(a.c.) ROMA - L'aumentata accessibilità nel nostro paese alle varie forme di gioco d'azzardo, non ha corrisposto all'incremento del numero dei soggetti che vanno incontro alla dipendenza da gioco: nella popolazione adulta, infatti, si riscontra un tasso di diffusione del fenomeno che non supera il 3%.
"Al fine di inquadrare il tema del gioco problematico - ha dichiarato ad Agipronews il presidente della Società Italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive (Siipac), Cesare Guerreschi - credo sia necessario riferirsi ai grandi comunicatori scientifici come l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l'American Psychological Association (Apa) e il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (più conosciuto tra gli psicoterapeuti con l'acronimo Dsm 4, del quale il prossimo anno uscirà la nuova versione aggiornata "5" - n.d.r.).
Non ci sono novità sostanziali sulle statistiche dedicate al fenomeno di questa particolare forma di compulsività: per la quantificazione dei giocatori problematici - in Italia e nel mondo - rimaniamo in una forbice compresa tra l'1,5% e il 3% della popolazione adulta. Parliamo, bene inteso, di giocatori eccessivi, problematici, di persone che hanno già instaurato una patologia attraverso quella che è la modalità dell'approccio al gioco. La mia impressione, dettata dall'esperienza sul territorio italiano, è che grosse novità nelle prossime pubblicazioni non dovrebbero sortire".
I calcoli sono presto fatti: se consideriamo come riferimento l'1,5% della popolazione adulta in Italia, avremo circa 500/550 mila che dipendono già dal gioco, mentre se il riferimento è il 3%, si sale a oltre 700 mila persone.
"Va comunque sottolineato a gran voce - insiste il presidente del Siipac - come questi dati debbano essere sempre presi con estrema cautela: non esistono - in tal senso - statistiche a livello nazionale. Sebbene a livello italiano circolino alcune ricerche riguardanti regioni come il Lazio, il Trentino e la Sicilia, un quadro d'insieme non c'è".
A rimanere immutato risulta anche il profilo del "giocatore compulsivo tipo", sebbene rispetto al passato, emergano alcune novità di rilievo.
"Considerando ancora la popolazione adulta - spiega Guerreschi - possiamo dire che il giocatore che presenta problemi è maschio, per quanto negli ultimi anni si registri un calo della percentuale rispetto al sesso femminile (che si mostra come il fenomeno in crescita n.d.r.). Gli uomini rappresentano ancora il 65% dei giocatori compulsivi. L'estrazione sociale è, in genere, medio-bassa".
Sul punto esiste, comunque, una diversa intepretazione dei dati: qualcuno attribuirebbe ai soggetti in esame un'estrazione medio-alta. Nella realtà dei fatti, i ricercatori sono concordi nell'affermare che se il fenomeno viene "settorializzato e parcellizzato", una differenziazione può essere attribuita in base alle forme di gioco prescelte.
"L'età media - indica ancora Cesare Guerreschi - è tra i 38 e i 42 anni. Generalmente hanno tutti una professione e sono sposati. Il matrimonio è però in crisi e questo si evince da quel 35-40% di questi giocatori che è in procinto di separarsi, che va sommato al 10% di coloro che già lo sono.
Ai fini delle terapie, è rilevante sapere che questi soggetti hanno alle spalle una carriera di circa 20 anni di gioco problematico".
"All'inizio della nostra attività - riprende il fondatore del Siipac - la percentuale di donne interessate dal gioco compulsivo, era decisamente ridotta: non si superava il 15% della popolazione adulta. Oggi si arriva al 30/32%.
Il dato di base è che, rispetto la passato, risulta maggiore la richiesta di gioco, anche se questo non significa automaticamente che questi soggetti siano catalogabili come 'dipendenti'".
La donna gioca tendenzialmente per 'fuggire'. Anzi è possibile distinguere le giocatrici da 'fuga' e da 'sballo'.
Si fugge dalla propria quotidianità, dai propri dispiaceri e dalla propria routine: il gioco rappresenta quindi la 'via di fuga' da tutto questo, poichè fornisce determinate sensazioni, mettendo in moto alcuni meccanismi biochimici.
Un dato interessante riguarda l'età delle donne che presentano problemi con il gioco: è decisamente più bassa rispetto a quella degli uomini. Parliamo, infatti, di giovanni donne adulte intorno tra i 28/30 anni fino ai 35.
"Le personalità di queste donne presentano - in alcuni casi - delle problematiche: si va dal problema di indentità a quello generazionale. La maggior parte presenta difficoltà rispetto alle relazioni con il partner, con i figli, con il gruppo degli amici. Spesso notiamo una componente depressiva: a volte una donna cerca anche altre vie di 'sballo' come l'alcol".
Il fenomeno del gioco d'azzardo è storicamente inquadrato all'interno del vissuto maschile.
Un esempio è offerto dalla stessa letteratura mondiale.
A metà dell'ottocento con "Il giocatore", è lo scrittore russo Fedor Dostoevskij, a descrivere - con toni crudi e intrisi di realismo - le vicissitudini di un uomo giovane che, inesorabilmente, si abbandona all'insana passione (che ben presto si tramuta in malattia) per il gioco d'azzardo.
Nella difficoltà, oggettiva, di definire i contorni del gioco d'azzardo patologico (Gap), Cesare Guerreschi, con il suo libro "L'azzardo si veste di rosa", apre un fronte di osservazione e analisi - assolutamente inusuale - sul mondo femminile, ribaltando le visioni correnti: le donne (madri, mogli, sorelle) non solo testimoni della compulsività maschile, bensì protagoniste.
Il presupposto dal quale l'autore parte per affrontare il tema del gioco complusivo in "rosa" è sostanzialmente uno: i problemi di una donna che gioca, non sono gli stessi di un uomo che gioca, così come le conseguenze derivanti da questa dipendenza a livello esistenziale, sono destinate a marcare altri territori.
"L'azzardo si veste di rosa" - ormai prossimo alla pubblicazione - è innanzitutto una ricerca che ha avuto come obiettivo quello di "analizzare il gioco d'azzardo nella popolazione femminile del Comune di Roma", sondando i diversi aspetti (psicologici e non) collegati a questa nuova e complessa dipendenza.
Un dato che sorprendentemente emerge dalla ricerca, riguarda la giovane età delle donne con problemi di gioco: il 57% ha meno di 35 anni.
Alcune novità emergono invece dall'inquadramento territoriale del problema.
"Un dato che prevale su tutti - dichiara Guerreschi - riguarda alcune regioni che non riescono a sottrarsi a questo fenomeno: su tutte la Campania e alcune regioni a essa limitrofe, come Basilicata, Puglia e Sicilia. Soprattuto nell'isola la presenza del fenomeno è massiccia. Salendo verso centro troviamo il Lazio e la Toscana. A nord il problema è più sentito in regioni come Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Liguria, quindi Lombardia e Piemonte.
Gli adolescenti, più di altre categorie, presentano elementi di rischio. Cresce, infatti, il livello di attenzione per le nuove generazioni, che sempre più spesso andrebbero incontro a una vera e propria sindrome da abuso in fatto di giochi e permanenza davanti al computer.
"Tra le categorie a maggiore rischio dipendenza - ricorda il presidente del Siipac - indicherei gli adolescenti. Nonostante la materia e i soggetti interessati, credo comunque che non si debba drammatizzare il fenomeno: devono essere effettuate apposite valutazioni di merito, diverse da quelle che riguardano la popolazione adulta.
Dal canto nostro stiamo facendo degli interventi nelle scuole (come per alcuni istituti romani n.d.r.), ma deve essere compreso profondamente il problema. Quel che possiamo dire è che nelle scuole la percentuale dei soggetti a rischio è abbastanza rilevante, tale da uscire addirittura da quelli che sono i canoni fissati dall'Oms di cui abbiamo accennato in apertura: arriviamo anche a percentuali oscillanti tra il 4,5 e il 4,8%. Il fenomeno riguarda alcuni giovani che abusano di forme di gioco o di alcuni strumenti, come il computer: in questo caso noi parliamo di 'psico-tecnologie'.
Le fasce di età a rischio sono sostanzialmente due: quella che maggiormente abusa, come dicevamo in precedenza, di alcuni giochi/mezzi (e che è destinata, fortunatamente a superare il problema n.d.r.) è compresa tra i 14 i 17 anni. Quella che va invece dai 17 ai 19 anni risulta essere maggiormente compromessa.
"L'intervento, che spesso viene richiesto dalle scuole stesse, è soprattuto di carattere preventivo e non riabilitativo - avverte Guerreschi - questo è significativo dell'interesse che la scuola ha nei confronti del tema. Va fatto, principalmente, un lavoro di informazione corretta: i ragazzi recepiscono pienamente quanto andiamo loro dicendo sul gioco problematico".
Sebbene rappresenti una contraddizione in termini, un ossimoro concettuale, prima ancora che linguistico, la solitudine è spesso una compagna costante dei giocatori d'azzardo. Si è soli perchè si gioca o si gioca perchè si è soli?
Il preferire un'attività di gioco - lontana dai casinò o dagli ippodromi - potrebbe essere considerato un effetto - cercato e voluto - più che una causa del gioco compulsivo. Il fenomeno è tanto più evidente se ci si sofferma sulle forme di gioco preferite dal giocatore problematico.
"In assoluto oggi si gioca di più con gli apparecchi da intrattenimento - continua Guerreschi - e in tal senso l'attenzione che i Monopoli di Stato hanno focalizzato sul settore ha prodotto un lavoro intelligente e proficuo, anche se c'è da chiedersi quanto sia stato realmente compreso".
Nonostante la veste rassicurante dei nuovi apparecchi (quelli di ultima generazione potranno essere solo collegati in rete e tramite questa controllati n.d.r.), il dato che emerge è sostanzialmente uno: con le slot - macchine caratterizzate dal rapporto "uno a uno, macchina-giocatore". E il gioco on-line - dichiara ancora Guerreschi - è decisamente il fenomeno che deve essere tenuto maggiormente sotto controllo: con il computer ormai, facciamo di tutto, gioco compreso. Da ora si dovrebbe fare informazione sull'utilizzo di internet".
Dall'1 al 3 di febbraio si terranno presso la sede dei Monopoli di Stato di Via della Luce, i corsi di formazione per operatori che dovranno affrontare situazioni di disagio sociale scaturite dal gioco problematico.
"Sono corsi che avevamo già tenuto due anni fa - chiosa Guerreschi - e vedono la partecipazione di due categorie di professionisti: c'è chi lavora su un territorio (associazioni, terapeuti, psicologi) che spesso non ha gli strumenti adatti per interventi mirati, c'è chi invece, lavora direttamente con gli operatori di gioco o nelle stesse istituzioni".
L'obiettivo principale del corso è "promuovere una cultura del gioco sicuro".
"Tutti hanno l'interesse di comprendere come è possibile aiutare le persone affette da gioco compulsivo - spiega il promotore dell'iniziativa - il modello da cui traiamo spunto per i nostri incontri è senza dubbio la normativa svizzera, che in questi casi, mira a coinvolgere tutte le associazioni che operano sul territorio, senza creare fratture o contrapposizioni nette nei confronti dello Stato o dell'ente gestore del settore giochi. Sappiamo che ormai il gioco crea delle dipendenze, perchè non lavorare in maniera sinergica, senza mai demonizzare il gioco?"
Durante il corso verranno fornite ai partecipanti le conoscenze utili per avviare un processo di prevenzione "primaria" (rivolto soprattutto ai giovani), con l'obiettivo di arginare i "fattori di rischio e promuovendo quelli di protezione".