In pnmo piano A Londra, il Legal Gaming Summit 2008. L’eurodeputato Fjellner «Nessuna armonizzazione in vista» Unione Europea, ma non nei giochi Davies: «Ai Governi interessano le tasse Bet-ex in Italia? Servono modifiche alla legge» • di Nicola Tani L'Europa unita dei giochi è assai lontana. "Non ci sarà la soluzione politica che tutti augurano per omogeneizzare il panorama del gaming in Europa». Parole e musica di Christofer Fjellner, giovane eurodeputato svedese del partito conservatore che, nei corso del Legal Gaming Summit 2008 che si è tenuto a Londra lunedì e martedì, ha sottolineato quali sono gli ostacoli che impediscono una omogeneizzazione del quadro normativo nel vecchio continente. «Il momento politico - ha detto Christofer Fjellner - non è favorevole e la Commissione Europea non sta esercitando le dovute pressioni sui governi nazionali al fine di adattare le leggi ai principi comunitari. Prova ne è che in diversi paesi si stanno progettando il blocco dei siti esteri e lo stop alle transazioni finanziarie per i servizi di gaming. A mio avviso - ha affermato Fjellner - in questo momento storico la battaglia può essere vinta dagli operatori solo a livello locale, attraverso sentenze e pressioni politiche. A Bruxelles, l’azione del Commissario Charlie McCreevy, molto attivo con procedure di infrazione e richiami nei confronti dei paesi meno rispettosi del trattato, non è supportata dalla pressione di poteri come quelli delle banche, delle compagnie di fornitura di servizi telematici e delle società di media. Proprio questi ultimi settori sarebbero infatti pesantemente danneggiati da ulteriori restrizioni normative nazionali nel campo dei servizi di gioco". Analogo pessimismo da Mark Davies, Managing Director del più importante operatore mondiale di Bet exchangé, Betfair: «I Governi nazionali europei parlano di politica sociale e di lotta al riciclaggio. ma in realtà tutte le restrizioni approvate in Europa mirano alla protezione degli introiti erariali. Sono molto pessimista sul fatto che un giorno o l’altro si possa giungere ad un arnonizzazione delle norme sul gaming e il motivo va ricercato proprio negli appetiti dei diversi ministri delle finanze: un’imposta del 15% sugli utili, ad esempio, considerata alta dagli operatori, ma inaccettabilmente bassa da tutti i governi del continente, escluso quello inglese. E’ difficile, quindi, ipotizzare un accordo. Betfair, in ogni caso, continuerà a chiedere l’applicazione dei principi comunitari di libera circolazione di servizi per poter offrire anche ai clienti degli altri paesi europei il proprio prodotto». E commentando la situazione italiana, Davies ha riconosciuto che non vi sono ancora le condizioni per il lancio del “peer-to-peer”, previsto dal decreto Bersani: «Per ora in Italia opereremo come semplice concessionario di scommesse. Per il futuro, Betfair auspica una sostanziale modifica alla tassazione sul peer-to-peer (l’aliquota è fìssata al 3%, ndr), altrimenti non sarà possibile operare con lo scambio scommesse. Stiamo parlando con il Ministero dell’Economia per tentare di spiegare che, senza una modifica al regime fiscale, il decreto Bersani - almeno nella parte dello scambio scommesse - non può funzionare, in quanto non competitivo con i prodotti presenti sul mercato internazionale». Sui tempi di intervento, Mark Davies non si sbilancia: «Ovviamente, in Italia come in altri paesi con situazioni normative simili, non abbiamo una dead line, ma è assolutamente certo che se il Governo non interviene rischierà di perdere questa importante fetta di mercato». Tornando al dibattito del Legal Summit, nel panel sull’Italia, l’avvocato Quirino Mancini ha fatto riferimento esplicito ad un ‘compromesso” tra Roma e Bruxelles: «Le nuove regole sull’on-line, che il Governo ha appena inviato alla Commissione Europea, modificheranno i principi di accesso al mercato e, d’altro canto, spingeranno Bruxelles ad avere un atteggiamento più morbido in merito alle procedure di infrazione a carico dell’Italia. Per un operatore internazionale è comunque possibile sia acquistare ora una licenza, con le vecchie regole, sia attendere l’esito dell’analisi di Bruxelles al decreto sul gioco online. La situazione in Italia - ha proseguito Mancini - è peraltro molto complicata: il mercato è ancora interessato dal contrasto alla rete di punti di commercializzazione e ai centri Stanley da un lato, e dalle difficoltà di sviluppo del netwòrk di punti vendita previsti dal decreto Bersani, dall’altro. In ogni caso, la strada migliore per accedere all’Italia e gestire un business stabile resta quella di ottenere un riconoscimento formale dalle autorità locali». Chi ha invece agito con rapidità ed efficacia per risolvere i problemi della presenza di gioco illegale è, al solito, il Regno Unito. Il Gambling Act del 2005 considera, ad esempio, reato penale pubblicizzare sui media (e non solo) prodotti non autorizzati o gestiti da operatori dislocati in paesi esteri. Come in Italia, insomma, solo che lì è vietato davvero. Fanno eccezione i casi di Alderney, dell’isola di Man e della Tasmania, inseriti nella cosiddetta “white list” degli stati cui è consentito essere presenti sui media inglesi. Inoltre, dalle 21 di ogni sera, è proibito ogni genere di spot pubblicitario che abbia come oggetto il gioco, con l’eccezione delle società di scommesse che sponsorizzano eventi sportivi. Infine, a protezione dei bambini, è prevista una dura disciplina per i bookmaker e per i club sportivi, che - addirittura - non possono vendere maglie “formato baby” con l’indicazione dello sponsor se quest’ultimo fa parte dell’industria del gioco. Mercato libero, dunque, ma con regole certe. Non esattamente la strada scelta dall’Italia.
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