(c.s.) ROMA - Dopo l'inchiesta pubblicata nei giorni scorsi da "Il Sole 24 Ore" sullo "scandalo scommesse", l’Anit – l’associazione dei comuni italiani interessati all’apertura dei nuovi casinò – ribadisce con forza la sua denuncia contro le scelte normative effettuate dal legislatore per disciplinare il settore del gioco pubblico in Italia. L'associazione, attraverso il suo portavoce Gianfranco Bonanno, non lesina accuse alla politica in materia dell'attuale esecutivo: "Il malaffare che pervade il comparto (delle scommesse e dei giochi, ndr) è diretta conseguenza di ipocriti e dissennati provvedimenti adottati in dispregio dei più elementari principi di buon senso, che, lungi dal 'liberalizzare', hanno in pratica favorito la diffusione delle tipologie di gioco più dannose e inique: slot e “grattini” su tutti (una slot da bar restituisce al giocatore una percentuale del 75% contro il 95-97% di una da casinò). Forme di 'intrattenimento' che hanno letteralmente portato alla deriva i ceti meno abbienti e i soggetti più deboli della popolazione, causando un aumento esponenziale del fenomeno del gioco compulsivo.Il mercato del cosiddetto 'gioco responsabile' - prosegue Bonanno nel suo 'j'accuse' - si è rivelato uno strumento utile solo per le casse dello Stato - 11 miliardi di euro tra imposte dirette e indirette riscosse dal comparto giochi nei primi undici mesi del 2007 (vedasi l’ultimo bollettino del Dipartimento per le politiche fiscali del MEF) - e per quelle della criminalità organizzata, che riesce a riciclare i suoi illeciti proventi alla luce del sole e al minor costo possibile, oltre a 'fatturare' circa 2,5 miliardi l’anno con il gioco clandestino (dati 2007 Sos Impresa)".
Il portavoce dell'Anit conclude rivendicando i diritti negati per i comuni che vorrebbero aprire nuove case da gioco sul territorio italiano: "Questi i risultati di norme lacunose e cieche, approvate con lo scopo dichiarato di combattere la raccolta abusiva e di tutelare il consumatore mentre, per contro, persiste un ingiustificato diniego all’apertura di nuovi casinò malgrado due sentenze della Corte Costituzionale (del 1985 e del 2001) invitino il Parlamento a legiferare in materia, e nonostante le importanti ricadute sul piano occupazionale, dello sviluppo dell’indotto turistico e della valorizzazione del territorio che dette strutture possono assicurare".