Giovanni Branchini, un gigante dell’ippica La scomparsa di Giovanni Branchini suscita una vasta eco di rimpianto in tutti gli ippici di razza. In particolar modo a Napoli, un ippodromo al quale l’ingegnere ha dedicato una ventina di anni di lavoro appassionato e competente. Di ritorno dagli Stati Uniti, dove aveva diretto una fabbrica di motori con cinquecento dipendenti, e dove la sua passione per i cavalli l’aveva portato a conoscere l’altra faccia del pianeta trotto, quella più moderna e progredita, fu chiamato a salvare l’ippodromo dal fallimento quasi sicuro. Mise nella difficile opera tanta passione e tanto coraggio da riportare in breve tempo Agnano agli antichi fasti. Riuscì, e qui sta la sua grandezza, a far collimare la mentalità aziendale con quella sportiva, non dimenticando mai che un ippodromo non è una fabbrica di scatolette, ma un’impresa che si mantiene sul sacrificio degli artieri, dei guidatori, degli allenatori e sulla passione dei proprietari. E proprio il rispetto per queste categorie, il suo immedesimarsi nei loro problemi, gli consentirono di ottenere da tutti la collaborazione più piena, senza la quale il suo lavoro non avrebbe potuto raggiungere gli obbiettivi prefissi. Era un esempio per tutti. Al mattino alle sette era già al lavoro, ma non dietro alla scrivania, bensì in giro con l’inseparabile bicicletta nei vari settori delle scuderie e delle tribune: osservava di persona e si rendeva conto di quello che si doveva fare per migliorare. Quando tornava in ufficio, la sua porta era aperta, e non occorreva farsi annunciare: questa sua disponibilità lo rendeva familiare, e gli faceva ottenere il massimo dell’impegno dai dipendenti. Specialmente gli operai della pista, che lo vedevano di prima mattina accanto a loro, discutendo ed incoraggiandoli, gli erano particolarmente affezionati ed avrebbero fatto qualunque cosa se era Branchini a chiederlo. Il Gran Premio Lotteria era il suo fiore all’occhiello. Senza grandi proclami, si metteva la lavoro mesi prima, sfuttando la sua conoscenza con i manager ed i driver più famosi del mondo. Bastava la sua parola per portare a Napoli il fior fiore del trotto mondiale. Se non riusciva per telefono a convincere il proprietario di qualche campione a spostarsi a Napoli, prendeva l’aereo ed a voce riusciva ad ottenere quel che voleva. A Napoli, per merito suo, si sono visti i migliori trottatori del mondo: edizioni indimenticabili del Lotteria, dove si potevano ammirare a confronto il vincitore dell’Amerique e quello dell’Elitloppet, il cavallo americano più forte del momento ed una schiera di comprimari di primissima categoria. Memorabile l’ingaggio di Ina Scott, reduce dal trionfo di Parigi, guidata da Elen Johansson, la prima e finora unica donna a partecipare al Lotteria ed a vincerlo. In queste sue fatiche gli erano molto vicini Pasquale Sedia, il giornalista Gaetano Borrelli e la segretaria Elvira Greco, che, pur essendo giovanissimi, faticavano a stargli dietro. Quando andò via da Napoli, perché la nuova gestione non capì l’importanza di un simile personaggio, iniziò il lento decadimento di Agnano. C’è un brutto, bruttissimo episodio avvenuto durante il primo Lotteria senza Branchini, e lo posso ricordare ora che sono passati tanti anni. Ero all’epoca consulente della nuova società di gestione, ed il giorno del Gran Premio incontrai per caso, nel parterre della tribuna, l’ingegner Branchini ed il suo inseparabile amico bolognese Sergio Alberti: chiestogli come mai non fosse in tribuna d’onore, mi rispose che “non aveva avuto l’invito”. Mi precipitai dai dirigenti, e purtroppo constatai che davvero non l’avevano invitato! Faticai per circa un’ ora per convincerli della gaffe commessa, e finalmente riuscii a strappare il “passi” per l’ingegnere. Naturalmente gli dissi che si era trattato di un disguido, perché se gli avessi raccontato la verità, per orgoglio non avrebbe accettato di mettere piede nella tribuna dove pure aveva diritto di stare più di ogni altro. Il tempo per fortuna è galantuomo. Giovanni Branchini, l’ingegnere che ad ottant’anni e più si muoveva da solo, in una piccola Smart da Trieste a Napoli per rivedere e salutare gli amici pranzando nel ristorante delle scuderie da “Elena e Carlo”, resterà nella storia dell’ippica come un gigante, al pari degli altri grandi pionieri come il prof. Primo Castelvetro, Carlo Cacciari, Onesto “Citti” Zamboni, il conte Orsi Mangelli l’ingener Carena. Di molti altri, che l’ippica l’hanno solo “usata”, il tempo per fortuna cancellerà finanche la memoria. |