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Lo Sportsman: Calcio e ippica, storie quasi parallele (8.2.07)  
Autore: unagt
Pubblicato: 8/2/2007
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Calcio e ippica, storie quasi parallele

In ENNI0 PASCULLI
questi giorni si fa strada la tentazione di tracciare un parallelo fra la situazione del calcio e dell’ippica. In realtà l’accostamento regge solo in parte: troppo più gravi i fatti di Catania, troppo più estese e implicazioni economiche del mondo del pallone, troppo più radicato e diffuso in Italia il “consumo’ del calcio, settore assunto perfino a modello, sia per il successo, sia per la frequentazione di tutte le “veline” (altro fenomeno esploso negli ultimi dieci anni), sia per la capacità di coinvolgere e addirittura di portare i tifosi all’identificazione.
Insomma, i livelli sono differenti rispetto all’ippica, ma le analogie esistono eccome. Per iniziare l’appartenenza di nome allo sport, ma con una realtà sfaccettata e complessa che va molto al di là del semplice concetto ludico e agonstico. Poi e soprattutto la constatazione che tanto il calcio quanto l’ippica sono arrivati a un punto di non ritorno, o forse l’hanno superato. Infine il momento particolare in entrambi i settori che impone decisioni definite drastiche o giù di li.
Inutile addentrarci nei problemi del pallone, attività inflazionata di questi tempi e che peraltro poco ci riguarda. La sensazione un po’ pessimistica è che, dopo un mucchio di proclami, le cose non cambieranno granché in futuro, già la sospensione del campionato pare stare rientrando al volo.
Resta però sterile consolarsi pensando che altri non stanno meglio di noi e illudendosi che altrove le parole restino tali e nell’ippica diventino fatti. Più produttivo guardare in casa nostra, riconoscere che tante sono le cose che non funzionano e poi cercare di affrontarle progressivamente. La situazione venuta a galla ad Aversa, il funzionamento (o non funzionamento) a singhiozzo dell’Unire, la sostanziale assenza di enti tecnici a cui fare riferimento, gli arrivi sbagliati, le inversioni di forma, la scarsa coesione delle categorie se non per protestare, il mancato decollo di Tris Quarté Quinté, la concorrenza degli altri tipi di scommessa, la sistematica assenza dell’ippica dai media, tranne che in casi di scandali veri o presunti, sono tutti aspetti (non i soli, ma almeno i principali) di un’unica difficile congiuntura nei confronti della quale la politica dello struzzo è la peggiore da attuare.
Non che tutto si possa risolvere subito, completamente, senza sacrifici e con soddisfazione di tutti, mica siamo nelle favole. Altrettanto puerile far finta di niente oppure tirare soltanto l’acqua al proprio mulino. Tanto per parlar chiaro, la riduzione nel montepremi è inevitabile, meglio prenderne atto, accettarla e lavorare in funzione di un avvenire più sereno, nel quale il montepremi possa ricominciare a crescere.
Come? Tornando a una grande attenzione verso la tecnica, la programmazione, i calendari; ristrutturando il prima possibile le Tris, per le quali il sorteggio è solo uno dei lati negativi; pensando in anticipo a quello che diventerà il mercato delle scommesse con l’ingresso, presto o tardi (ma prima di quanto si immagini) di internet; investendo in una televisione che sia funzionale, competente ed attenta: non pretendiamo Equidia (magari...), ma nemmeno vogliamo le enormi lacuni attuali; dando la maggior trasparenza possibile in ogni aspetto disciplinare, anche per quanto riguarda i casi di doping, dei quali nulla si sa se non a distanza di anni luce e quasi di straforo; riducendo un poco l’esagerato numero di corse che diventa antiproduttivo, specialmente se non esiste più alcuna differenza nei convegni, in qualunque ippodromo si svolgano; classificando finalmente gli ippodromi, i loro programmi e i loro obiettivi, non come autoriferiti ma nella gestione complessiva, per così dire sociale, dell’ippica italiana.
Per fare tutto questo, o almeno per avviarsi su tale strada, ci vuole tempo e pazienza. Ma anche autorità, decisione, passione, forza di rendersi a volte impopolari; e tanta voglia di lavorare e di impegnarsi, con persone competenti e di responsabilità nei posti giusti. In questi giorni, proprio pensando anche a quanto accade nel calcio e alla violenza delle sue manifestazioni, sono tornate in mente con un pizzico di nostalgia le “belle” invasioni di pista di anni addietro, ormai dimenticati. Erano comportamenti sbagliati, senz’altro, ma erano anche il segnale della presenza di pubblico agli ippodromi, dell’esistenza di un nucleo di scommettitori (non sempre in buona fede...) che è andato scomparendo, erano l’indice che svolgimenti di corsa “strani” non passavano nella totale indifferenza come oggi che trangugiamo decine di corse senza fare una piega. Chiaro, non siamo favorevoli alle invasioni di pista: ma certo erano anch’esse un aspetto di un’ippica viva e vitale, non immobile e in coma come l’attuale.
Non vogliamo fare la fine del calcio, non è necessario che ci scappi il morto (che sarebbe poi l’ippica stessa) per aprire gli occhi:
anche se le similitudini ci stanno, lì sospeso il campionato, qui non dati i partenti di Aversa. In entrambi i casi si conoscono molte delle cose che non vanno, non sono segreti, si tratta di intervenire. Si può, si deve, iniziare a risolvere i problemi piccoli, di attività e funzionamento quotidiano: allora man mano anche le questioni più grandi diventeranno meno insormontabili. Ma non si può più pensare di affidarsi allo “stellone italico”, ormai è tramontato.

 
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