Il deserto dei ‘Tatari’ ormai padrone di San Siro in agonia
MARCO TRENTINI San Siro trotto è in fin di vita, ma fino a venerdì sera forse nessuno se ne era accorto. Il verdetto, duro e violento come un pugno alla bocca dello stomaco è arrivato nella notte della World Cup, quella in cui Kool d Caux ha dato spettacolo nel deserto dei tartari (o dei tatari visto l’ingresso del Tatarstan nel circuito). Lo show “mondiale” e andato in scena in un'ippodromo desolato e desolante. In una parola vuoto. Davanti a un migliaio molto molto scarso di spettatori, dei quali circa la metà addetti ai lavori. In uno scenario del tutto spezzato in due: da una parte la pista (bella e veloce fino all’impossibile), dall’altra la tribuna, vuota e ormai sempre più simile a una sala corse dallo stile “vintage” ma con tanti monitor al posto delle sputacchiere. Dalla pista, da uomini e cavalli, sono arrivate belle corse. Sono arrivati tempi davanti a quali si può solo sorridere, ma anche e soprattutto un vello di spettacolo sportivo di sicura eccellenza. Ma dall’altra parte dello steccato il disastro è stato quasi totale. E si può considerare la notte della World Cup come il più clamoroso flop degli ultimi 30 anni. Perché mai a memoria una serata con un gran premio a San Siro era stata così desolante. Anche in periodo di mondiali. Una scusa che regge poco, visto che la concorrenza pallonara era affidata a Francia-Togo e Svizzera-Corea, partite davanti alle quali anche il più calciofilo poteva addormentarsi. E' stato paradossale camminare per San Siro a metà serata. Guardare quello che fino a qualche anno fa era un ippodromo di vertice e scoprire che oggi la Scala del trotto si è trasformata in una Scaletta se non in un Sottoscala. Partire dall’alto e scoprire che al ristorante i tavoli erano solo nella prima fila. Scendere e guardare il secondo piano, un tempo ritrovo degli aficionados (molti assenti persino ieri) e scoprirlo semideserto e ristrutturato in modo da cancellarne praticamente metà e di trasformare l’altra parte in una sala corse. Scendere ancora e passare nel deserto quasi assoluto del primo piano, scoprire un pugno di persone semiaccucciate davanti al rnaxischermo per le partite quasi si trattasse di una sala d’aspetto di una stazione. Arrivare al parterre, un pò’ più popolato, ma quasi solo di allibratori di ogni tipo. Quei pochi che sono rimasti sui picchetti, i tanti che girano in cerca di una scommessa da accettare. Senza contare la secondaria, perché ormai quella per l’ippodromo non c’è più da tempo. Questo è il San Siro del terzo millennio, quello della World Cup nel deserto, quello che ormai è una sala corse dove lo spettacolo è casualmente dal vivo, dove bermuda e canottiere la fanno da padrone. Quello che 36 ore prima di un gruppo 1 internazionale ha ospitato una matinée. Quello che in una notte bollente si presenta ghiacciato, e non per merito di un’aria condizionata ormai balbettante dopo trent’anni di vita. La Milano che trotta si è trovata senza pubblico. E non bastano evidentemente i dogmi di fede per considerarla al vertice del trotto italiano. Così come non servono più le parole inutili, il fumo buttato ad arte per nascondere alla vista quello che è un problema ormai dalle proporzioni drammatiche. Milano trotto, così come altri ippodromi ai quali è stata appiccicata per decreto l’etichetta di lstituzonali, è moribondo e va curato profondamente. Perché San Siro è in fin di vita e ora qualcuno se n’è accorto. Forse.
|